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Relazioni & interventi

Convegno Pastorale 2025

Vescovo Ivo Muser

Accademia Cusanus, Bressanone

Sabato 20 Settembre 2025

Il mio intervento al Convegno Pastorale nasce ogni anno già in estate come frutto di un lavoro di squadra con le collaboratrici e i collaboratori più stretti, e prende in esame i temi e gli sviluppi a lungo termine su cui stiamo lavorando. Così, per questo incontro, ho preparato un contributo che riprende e approfondisce la visione del futuro che ho presentato qui due anni fa. Mi sono chiesto se, a causa delle attuali circostanze, dovessi riscrivere completamente questa mia relazione. Alla fine, ho deciso di mantenere il tema previsto e di farlo precedere da una dichiarazione in merito alle questioni aperte sulla gestione degli abusi nella nostra Chiesa. Esiste, come ho già accennato ieri, uno stretto rapporto tra l'elaborazione e la prevenzione degli abusi e la riforma sinodale della Chiesa. Pertanto, interverrò prima sulla situazione difficile che stiamo vivendo in questi giorni e poi passerò al tema specifico di questo Convegno.

Presa di posizione sulla gestione dei casi di abuso 

Nelle ultime settimane è emerso chiaramente che alcune decisioni hanno ferito persone che si aspettavano protezione, sicurezza e ascolto. Già a gennaio, alla pubblicazione del rapporto sugli abusi, abbiamo ammesso gli errori commessi - e sapevamo quanto fosse importante trarne degli insegnamenti. Tuttavia, nuovi errori sono stati commessi. Capisco quanto molti si sentano delusi e provati da quanto successo - penso in particolare alle vittime, che devono convivere con la grave ferita dell’abuso. Tutti noi siamo coinvolti!  Anche in questa circostanza vale ciò che ha scritto l’apostolo Paolo nella sua lettera alla comunità di Corinto: “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1Cor 12,26).

In qualità di responsabile ultimo, mi prendo pienamente carico del fatto che alcune procedure e decisioni abbiano ferito e turbato molte persone. Mi rammarico per ogni momento in cui la nostra chiesa non è stata il luogo in cui le vittime hanno trovato protezione e ascolto, in cui la loro fiducia nella chiesa è stata scossa, in cui è stata compromessa, all'interno delle nostre stesse file, la credibilità del nostro lavoro.

In questa situazione c'è una responsabilità personale che, in quanto vescovo, devo e voglio assumermi. Allo stesso tempo, so bene: la guarigione, l'apprendimento e la conversione sono possibili solo se ci incamminiamo insieme lungo questa strada e ci aiutiamo a vicenda. Il fatto che siamo sulla scia di Cristo si riconosce soprattutto da come ci trattiamo gli uni gli altri in situazioni difficili e dolorose. Insieme – vale a dire: in modo sinodale, insieme in cammino. Negli ultimi quattordici anni mai così tante persone me l'hanno dimostrato, esternato e trasmesso come in questi giorni. Per questo sono profondamente grato.

Ringrazio tutti coloro che contribuiscono a far sì che noi, come Chiesa, impariamo dagli errori e traiamo le conseguenze in modo credibile, per rendere la nostra comunità ecclesiale un luogo più sicuro per bambini e giovani, e per prendere sul serio la nostra responsabilità personale e comunitaria. Interpreto le numerose reazioni e risposte mediatiche come un segno di maggiore preoccupazione, vigilanza e coraggio civile in merito alla protezione dei più deboli della nostra società. 

La perizia sugli abusi, pubblicata a gennaio, è in questa situazione uno strumento importante. Ha esposto con chiarezza tutti i fatti. Ha creato una conoscenza pubblica e tracciato un limite irrevocabile che non possiamo e non vogliamo più oltrepassare. La perizia, quindi, non è una retrospettiva conclusa – è piuttosto uno strumento per il presente e il futuro, che ci aiuta e ci esorta ad agire in modo responsabile - vicini alle vittime e fedeli alla verità. 

Per questo il prossimo passo, immediato e prioritario, è che le dinamiche e i fattori che hanno portato alla nomina di don Giorgio Carli e successivamente alla sua revoca vengano analizzati e chiariti. Esperti al di fuori dell’ambito ecclesiale esamineranno tutti i passaggi e indicheranno chiaramente dove sono avvenuti gli errori. Da ciò ricaveranno misure concrete che dovranno prevenire il ripetersi di simili situazioni. Tali provvedimenti verranno quindi integrati e attuati sia nel processo di riforma della curia che in quello di trasformazione del progetto "Il coraggio di guardare", a tutti i livelli e in tutti gli ambiti.

So che la fiducia è stata compromessa. La fiducia non può essere pretesa, si può solo chiederla. Le parole da sole non bastano; è il nostro agire che deve dimostrare che prendiamo sul serio la nostra responsabilità. Ognuna e ognuno di noi può contribuirvi. Vogliamo imparare dagli errori e, attraverso passi coerenti e trasparenti, cambiare le strutture necessarie per garantire la protezione e la sicurezza dei minori e delle persone vulnerabili. 

Vi chiedo di accompagnarmi in questo cammino e di comunicare a me e ai miei collaboratori le vostre esperienze e impressioni. Passo dopo passo, anche ammettendo battute d’arresto ed errori, vogliamo imparare da questa situazione e prendere sul serio la responsabilità che ci è affidata in quanto Chiesa, per restare sul solco tracciato da Cristo. Si tratta proprio di mantenere questo solco – pur in questo difficile e doloroso lavoro di elaborazione di una realtà vergognosa e umiliante, che affligge la Chiesa come anche tutti i livelli della vita familiare e sociale – in passato e, purtroppo, anche oggi.

Con gioia e speranza: vivere la sinodalità. 

Due anni fa, durante il Convegno Pastorale del 2023, ho presentato una mia immagine del futuro. Si tratta di una visione nata come frutto del cammino sinodale nella nostra diocesi, che vuole essere allo stesso tempo un incoraggiamento a proseguire con gioia e speranza il percorso della sinodalità. Nello stesso anno pastorale, ho approfondito un primo aspetto di queste osservazioni nella lettera pastorale per la Quaresima (il coraggio di rinunciare), e infine, al Convegno Pastorale 2024, abbiamo affrontato un secondo aspetto (la gioia di essere cristiani). Oggi desidero approfondire con voi un terzo ambito tematico, per avanzare ulteriormente verso una Chiesa più sinodale.

Vi invito a riprendere in mano questa prospettiva di futuro e a lavorarci. È un'immagine che va considerata nel suo insieme, proprio mentre ne cogliamo e approfondiamo passo dopo passo i singoli aspetti. Tutto inizia con l'umile accettazione della realtà. Siamo diventati più piccoli, più modesti e più impotenti. A ciò si collega però la speranza che Cristo si renda presente proprio in questa nostra realtà, si lasci incontrare in essa, e la affidi a noi come compito.

Ci ha amati

All’inizio non c’è un piano strutturale, un’agenda di riforme, un progetto. All’inizio c’è uno sguardo: lo sguardo del Signore su ciascuna e ciascuno di noi. «Ci ha amati» – Dilexit nos. Da questo amore di Gesù per noi scaturisce tutto: la nostra missione, la nostra comunità, il nostro servizio. Papa Francesco scrive nella sua enciclica Dilexit nos: «Nello stesso momento in cui il Cuore di Cristo ci conduce al Padre, ci invia ai fratelli» (n. 163). All’inizio c’è lo sguardo di Cristo, che vede la nostra vita nella sua vulnerabilità. Qui non si tratta in primo luogo del bisogno della Chiesa, ma del bisogno delle persone. Alle persone nella loro vulnerabilità è rivolta l’amorevole attenzione di Dio in Cristo, specialmente a quelle che si trovano ai margini della Chiesa e della società. Noi, come Chiesa, siamo al servizio di questo amore, come suoi testimoni.

Lo abbiamo affrontato nel Convegno pastorale 2024, con il bel motto di Papa Francesco: tutti, tutti, tutti! Dall'esperienza dell'amore incondizionato, dalla relazione personale e comunitaria con il Cuore di Gesù, per dirla con l'Enciclica Dilexit nos di Papa Francesco, nasce la missione della Chiesa di annunciare la lieta novella. È una missione che scaturisce dalla gioia del Vangelo, ne è la conseguenza naturale. Come cristiane e cristiani siamo inviati a testimoniare lo sguardo amoroso di Cristo a tutte le persone, per diffondere il messaggio di un amore che vince la morte. Il nostro compito è un compito relazionale.

La sinodalità è relazione. 

Arrivo al punto focale di quest'anno, in linea di pensiero con la visione prospettata per il 2038: siamo forti nelle relazioni. Il documento finale del Sinodo mondiale sottolinea: una Chiesa sinodale si caratterizza come spazio in cui le relazioni possono fiorire (n. 34). Tali relazioni sono la prima e più importante forma di testimonianza, perché una relazione autentica e riuscita corrisponde ai bisogni più profondi di ogni persona (n. 48). La Chiesa vive di relazioni: è questo che distingue una comunità viva di credenti da un'assemblea di funzionari. Questa esperienza è descritta in modo vivido nel documento finale del Sinodo: «Soprattutto abbiamo sperimentato che sono le relazioni a sostenere la vitalità della Chiesa, animando le sue strutture. Una Chiesa sinodale missionaria ha bisogno di rinnovare le une e le altre» (n. 49). Per essere una Chiesa sinodale è necessaria una vera conversione relazionale (n. 50), come anche una riforma delle strutture, perché relazione e istituzione non sono opposti, ma poli strettamente correlati.

La relazione ha bisogno di strutture  

Relazioni salde sono caratterizzate da affidabilità, chiarezza e durata. Per questo le istituzioni sono importanti per le relazioni. Perché le relazioni sono sempre anche vulnerabili e hanno bisogno di una cornice che le sostenga e le regga. Le strutture e le istituzioni servono a creare relazioni affidabili. Esse sanciscono per iscritto il mandato, gli obblighi e le responsabilità che nascono dalle relazioni e ad esse sono finalizzate. Così anche le istituzioni ecclesiastiche sono al servizio della relazione: tra Dio e gli esseri umani e tra gli esseri umani stessi. Questo è anche il motivo per cui istituzione e relazione non devono essere messe l'una contro l'altra.

Nella storia della Chiesa questo dibattito c'è sempre stato, e tuttora riemerge periodicamente. Quando si parla di riforme istituzionali, spesso ci si chiede subito se la preghiera e la missione verso le persone non siano più importanti dell'istituzione. Quel che è vero è che sono necessarie entrambe, ma con una priorità: la relazione con Dio e tra le persone è il bene a cui l'istituzione è subordinata e in funzione del quale deve essere continuamente riformata e cambiata. Più volte nel corso della storia il sistema di coordinate socioculturali è mutato, e ogni volta, in questo processo, le strutture e le istituzioni sono state riformate per promuovere e sostenere il compito relazionale della Chiesa.

Le strutture devono adeguarsi al cambiamento delle relazioni.

Proprio questo sta accadendo anche oggi. Il sistema di coordinate culturali sta facendo registrare cambiamenti significativi, al punto che le istituzioni che abbiamo ereditato dai nostri predecessori in parte non reggono più. Esse furono create per organizzare le relazioni in una Chiesa popolare strutturata in modo gerarchico, in un ambiente caratterizzato da strutture sociali altrettanto gerarchiche e da tradizioni stabili, dove Chiesa e vita politico-culturale si intersecavano con grande naturalezza. Le nostre parrocchie sono nate per organizzare e assistere un territorio quasi indiscutibilmente cristiano. Non sono state create per la missione. Allo stesso modo, la curia vescovile è stata strutturata per organizzare, supportare e regolamentare parrocchie che disponevano di un numero ottimale di sacerdoti. Ma questa realtà, su cui si orientavano le nostre istituzioni, non esiste più. La secolarizzazione ha radicalmente mutato le condizioni quadro all'interno delle quali oggi adempiamo al nostro servizio come Chiesa. Le relazioni sono cambiate e continuano a cambiare a un ritmo vertiginoso. E di queste una parte non irrilevante sono relazioni che dobbiamo ancora costruire, conoscere e scoprire ex novo. Per questo le nostre istituzioni devono adeguarsi: le parrocchie, le unità pastorali, i decanati e, non da ultimo, anche la curia vescovile.

Riformare le strutture in stile sinodale

La comprensione sinodale della Chiesa ci aiuta nella scelta del metodo per attuare le riforme. Nell'immagine gerarchica della Chiesa, dalla quale tutti proveniamo, ci si aspetterebbe una riforma dall'alto, nella migliore delle ipotesi inserita in un processo partecipativo, ma comunque con l'obiettivo di trovare un'unica direttiva alla quale tutti dovrebbero orientarsi. La comprensione sinodale della Chiesa parte essenzialmente dal sensus fidei dei battezzati e confida nella capacità delle cristiane e dei cristiani a livello locale di trovare le soluzioni giuste per la propria comunità. Sul territorio, nelle parrocchie, è necessario riconoscere i segni dei tempi, stringere relazioni autentiche con le persone e trovare una forma organizzativa che sia al servizio di queste relazioni generative. L'organizzazione ecclesiastica è al servizio della relazione vitale con le persone, che nasce dalla fede in Gesù Cristo ed è testimonianza missionaria del suo amore. È quindi essenzialmente nelle mani delle cristiane e dei cristiani battezzati di una comunità a livello locale darsi un'organizzazione e una modalità di lavoro che assolva questo compito. L'unità pastorale, il decanato, il livello diocesano: tutte queste strutture sovraordinate sono al servizio della comunità locale, per sostenerla, favorirne i contatti e accompagnarla.

Corresponsabilità nelle decisioni in ambito parrocchiale

Un tema concreto, che tutte le parrocchie dovranno affrontare quest'anno, può chiarire questo punto. Il 25 ottobre 2026 nella nostra diocesi si procederà al rinnovo degli organi parrocchiali. In questo contesto stiamo osservando che anche il consiglio pastorale parrocchiale, presente nella nostra diocesi da poco più di 50 anni, deve affrontare i cambiamenti in atto nella Chiesa e nella società. Si può ancora parlare di "elezioni dei consigli pastorali parrocchiali" quando circa i due terzi delle parrocchie a malapena riescono a trovare un numero di candidati pari ai posti disponibili nel consiglio? Cosa significa che il consiglio pastorale parrocchiale affianca e supporta il parroco nel suo ministero, quando solo 70 parrocchie su 281 hanno ancora un parroco residente? Cosa succede quando una parrocchia non trova più sufficienti collaboratori per formare almeno un team pastorale che va dalle tre alle cinque persone?
Nel nostro modo di lavorare precedente, a livello diocesano, avremmo tentato di dare una risposta univoca e valida per tutti a queste domande. Ora affermiamo: le risposte a queste domande vanno trovate a livello locale attraverso un processo sinodale. Invece di imporre soluzioni unilaterali, oggi il compito della curia vescovile è quello di indicare possibilità e opzioni e di supportare il livello locale nel suo processo decisionale. Essenziale in questo è anche il mutuo sostegno e la consulenza reciproca tra le parrocchie all'interno di un'unità pastorale. Il fatto che siamo forti nelle relazioni significa anche che la responsabilità condivisa non termina con i confini parrocchiali, ma ha uno sguardo più ampio. La decisione sul futuro di una parrocchia, su possibili cooperazioni o addirittura fusioni di parrocchie, non è un'iniziativa solitaria, ma un processo condiviso all’interno della comunità solidale dell'unità pastorale. La curia – in questo caso l'ufficio pastorale – ha il compito di sostenere e accompagnare questo processo, affinché a livello locale possano essere individuate e fatte proprie le soluzioni più adeguate. 

Riforma della curia vescovile

Affinché ciò possa realizzarsi, è necessaria anche una riforma della curia vescovile. Così come le parrocchie e le unità pastorali, anche la curia deve adattarsi ad una nuova realtà e chiedersi come possano essere gestiti i rapporti a livello locale, in modo da supportare e accompagnare nel migliore dei modi il cambiamento sul territorio. Questo processo è già stato avviato e costituirà un importante punto focale durante quest'anno pastorale. In questo processo di ascolto e discernimento sono coinvolti alla pari tutti i collaboratori degli uffici pastorali della curia. Insieme cercheremo di capire come tali uffici possano essere riorganizzati per supportare al meglio i cambiamenti a livello locale, nelle parrocchie e nelle unità pastorali. 
Per questo processo è fondamentale il contributo di laiche e laici, diaconi e sacerdoti, dei volontari e degli operatori pastorali retribuiti impegnati nella pastorale sul territorio. Grazie al percorso sinodale degli ultimi anni abbiamo già potuto raccogliere molte esperienze e conoscenze che confluiranno in questo processo. Oggi desidero invitarvi a dare un ulteriore contributo alla riforma della curia attraverso i gruppi di lavoro che avranno inizio a breve. Vi chiedo di riferire esperienze concrete. Dove avete percepito l'operato della curia vescovile come utile per il vostro servizio? Dove avete fatto esperienze negative? In cosa avreste desiderato un aiuto o un supporto concreto? Quando invece avete percepito vicinanza e sostegno? Le collaboratrici e i collaboratori della curia vi aiuteranno nei gruppi di lavoro a raccogliere e organizzare queste esperienze. I risultati emersi dai gruppi verranno poi approfonditi in un confronto qui in plenaria. Attendo con interesse le vostre relazioni e i vostri racconti – essi costituiscono una base importante per il lavoro di riforma della curia.

Pellegrini e pellegrine di speranza – aperti allo Spirito di Dio

Una delle immagini più importanti della Chiesa, tratta dal Concilio Vaticano II, è quella del popolo di Dio in cammino. Come il popolo d'Israele, anche la Chiesa oggi è spesso in viaggio nel deserto, alla ricerca della terra promessa. Proprio in questo Anno Santo ci viene ricordato: in quanto membra della Chiesa, siamo pellegrini e pellegrine di speranza, anche quando a volte perdiamo il coraggio e ci sembra di vedere solo deserto intorno a noi. Dio ci invita a rimanere in cammino, passo dopo passo, con occhi, orecchie e cuore aperti a ciò che Egli ci dona. La speranza è un percorso in cui ci lasciamo guidare dallo Spirito – spesso attraverso svolte inattese, incontri che ci sorprendono, sfide che ci fanno crescere.

Il fondamento di ogni nostra azione deve rimanere l'ascolto dello Spirito, che agisce non primariamente nelle nostre strategie e nei nostri piani, ma negli eventi inattesi, nel dono di un incontro, nei momenti di relazione che ci sorprendono e ci trasformano. Tutti i cambiamenti che oggi ci sfidano e a volte ci sopraffanno sono in ultima istanza un invito di Dio: a rinnovare le relazioni – con Lui e con le persone. In questo sta la forza che ci trasforma: sostenuti dalla preghiera, forti nell'ascolto, gioiosi tra la gente. La sinodalità non è una forma organizzativa, ma un atteggiamento: un camminare insieme in cui nessuno è escluso. Essere pellegrini di speranza significa rimanere aperti in tutto all'azione di Dio, prendere sul serio la realtà e al tempo stesso lasciarsi sostenere dalla gioia che nasce dall'incontro con Dio e con le persone.

Ringraziamenti

Caro Vicario Generale Eugen, cari confratelli nel servizio sacerdotale e diaconale, care religiose e religiosi, care collaboratrici e cari collaboratori nei vari ambiti pastorali, vi chiedo di proseguire insieme questo cammino – alla luce della Parola di Dio e legati tra noi da un dialogo sincero, aperto e costruttivo. Le discussioni e i confronti attuali, se cerchiamo di affrontarli con spirito e metodo evangelico, possono senz'altro favorire un processo di crescita, di onestà e di autenticità nelle nostre relazioni.

Il mio particolare ringraziamento va a tutti coloro che all’inizio di questo anno pastorale hanno rimesso un incarico o terminato un servizio. Proprio in occasione degli avvicendamenti diocesani nella nostra diocesi sperimentiamo una necessità e una vulnerabilità sempre maggiori, oltre a molte domande e questioni irrisolte ad esse collegate.

A tutti coloro che hanno assunto un nuovo incarico nelle nostre parrocchie, nelle unità pastorali e nei vari ambiti della cura pastorale, auguro che possiamo sostenerci, aiutarci, incoraggiarci reciprocamente, e farci prossimi gli uni agli altri. 

Il mio ringraziamento va al direttore dell'Ufficio Pastorale, Reinhard Demetz, il quale, con il suo team, ha avuto la responsabilità principale di curare l’organizzazione di questo Convegno Pastorale – nella fase di preparazione e nella realizzazione. 

Durante i miei frequenti viaggi tra Bolzano e Bressanone, lo sguardo rivolto a Sabiona mi infonde sempre coraggio: nel corso della sua lunga storia, la nostra Diocesi ha cambiato nome tre volte: Sabiona, Bressanone, Bolzano – Bressanone. Già solo questo fatto dimostra quanto il rinnovamento, la svolta, il cambiamento, la tradizione e la trasformazione, la continuità e la discontinuità segneranno sempre il cammino della Chiesa nella storia. Noi crediamo in un Dio che in Gesù Cristo stesso è diventato "storia". E per questo la nostra storia umana non è semplicemente un succedersi anonimo, cieco, banale e spesso persino contraddittorio e crudele di eventi, ma il luogo in cui gli esseri umani possono incontrare Dio. Poiché Cristo è "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero", per dirla con le parole del Concilio di Nicea che uniscono tutte le Chiese cristiane, anche il nostro tempo è un tempo di salvezza: è questa la certezza che mi sostiene, con gioia e speranza, anche ora, in un contesto difficile, agitato e impegnativo per tutti noi.

Giulan, de gra, un sentito e cordiale grazie, vergelt´s Gott!