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Comunicati 2013

Presa di posizione della Commissione diocesana per la pastorale sociale e il lavoro in occasione della festa del lavoro

La festa del lavoro ha trovato in questi tempi una sua pubblica manifestazione nelle feste dei sindacati e anche tra i giovani, che a Roma dal pomeriggio alla notte cantano, con la partecipazione di molti gruppi musicali e cantanti, come sempre la Rai riporta. Quando però parliamo oggi di Festa del lavoro e leghiamo tale evento ai giovani, non possiamo non sottolineare con forza quanto importante è questo diritto, sancito anche nella Costituzione tra i fondamentali diritti dell’Uomo, ma ancor prima dalla Bibbia, come “una necessità dell’Uomo, alla luce di un corretto rapporto con Dio”. Il lavoro non deve diventare un idolo, il solo scopo della vita, ma deve armonizzarsi con gli altri valori dell’uomo nella sua capacità di esprimersi in quello che è detto il “dopo lavoro” o il giorno di riposo, come momento per dare valore alla famiglia, alla solidarietà, al culto e alla preghiera, all’amicizia, alla gioia, alla misericordia e quanti altri momenti ricchi di sentimento, espressione della vera vita.Per il cristianesimo quindi il lavoro va interpretato nella integralità della persona umana.San Paolo diceva che “chi non vuole lavorare, neppure mangi, che il lavoro non deve generare solo ricchezza, ma autonomia e libertà”Gli anni dello sviluppo economico, del “boom consumistico” e del “possedere” l’ultimo grido della tecnologia e della moda, hanno mascherato il vero senso della vita e con il crescere di un’economia dell’acquisto al di là delle possibilità e del debito a supporto di ogni velleità, non ci si è accorti di quanto improvvisamente e realmente invece accadeva.Ora i giovani non hanno prospettive di lavoro, nemmeno con la laurea, vivono e si appoggiano spesso sulle spalle dei propri genitori, consumando con loro gli ultimi risparmi, senza poter guardare ad un positivo futuro.In Italia, diversamente che in altre economie del benessere mondiali, i nostri genitori hanno cercato nei decenni passati di acquisire la loro prima casa, ma ciò difficilmente potrà avvenire per i propri figli.Senza prospettive di lavoro o senza prospettive di risparmio, il futuro di una propria casa diventa un miraggio e quindi anche il sacrificio e la rinuncia non hanno un apparente scopo.L’economia che oggi ancora resiste, anche nella nostra terra, si appoggia sulle imprese dei “genitori”, sulla capacità artigianale e professionale e le imprese di famiglia sono forse un rifugio per una “divisione” in famiglia di quanto poco ancora è possibile produrre. Famiglie spesso allargate ai dipendenti, collaboratori, con i quali si dividono le fatiche, specialmente in un mercato dove il debito ed il credito non sono più sostenuti dalle Banche, a loro volta compresse da parametri di copertura da rating, da Basilea due e tre, ecc.Oggi l’economia del lavoro è paralizzata dalla crisi finanziaria negli scambi e reperibilità di materie prime, per il crollo di riferimenti stabili, di fronte alla scomparsa di fornitori, distributori, artigiani, clienti.La crisi della politica e della sua progettazione sociale nella sussidiarietà e nel sostegno sociale, si maschera anche dietro parole di moda come “sobrietà” e “bilanci di stabilità”.Sempre più quindi proprio dalla famiglia e dall’economia domestica si solleva lo stimolo all’economia del “baratto” e il ritorno alla natura ed ai suoi prodotti, tramite il sudore e le braccia.Anche l’ultimo tentativo della moderna politica di mercato, di “spremere” anche con l’apertura domenicale l’ultimo potenziale, è destinato a fallire, perché va contro il diritto al riposo, all’unione nelle famiglie, alla riflessione e alla elevazione dello spirito, che sono risorse indispensabili per una rinascita nel nostro paese.