Come ogni anno, anche in questo giorno santo e memorabile abbiamo ascoltato la Passione secondo Giovanni. Vorrei ora soffermarmi solo su una scena: la triplice rinnegazione di Pietro. Non una, ma ben tre volte egli afferma di non conoscere Gesù.
Personalmente sono convinto che il rinnegamento di Pietro abbia ferito Gesù più del tradimento di Giuda. Pietro, che viene sempre nominato per primo nella lista degli apostoli, che nei Vangeli pronuncia grandi professioni di fede, che chiamiamo la roccia della Chiesa, si rivela ancora una volta per ciò che è nella sua umanità fragile: un uomo che affonda, pieno di paura, una banderuola al vento, uno scandalo, un inciampo sul cammino. Cade così in basso da non riuscire nemmeno ad ammettere di conoscere Gesù. Tutto ciò che ha vissuto con lui negli ultimi tre anni, tutto ciò che ha imparato, capito, sperato, tutto ciò che Gesù rappresenta per lui – in quest’ora buia della sua vita e della sua vocazione – viene rinnegato e tradito.
Nella Settimana Santa, due figure della Passione mi colpiscono ogni anno in modo particolare: Giuda e Pietro. Entrambi tradiscono la loro vocazione. Entrambi si caricano di una colpa profonda. Giuda prende la corda e si toglie la vita. Pietro piange. E sono proprio quelle lacrime a salvarlo, a salvare la sua vocazione.
Sant’Ignazio di Loyola, il grande maestro degli esercizi spirituali, parla spesso del dono delle lacrime. Non si tratta di sentimentalismo o autocommiserazione. Non si tratta di una teatralità emotiva. È il dono e la disponibilità a lasciarsi toccare interiormente, a non indurirsi, a non costruirsi una corazza che ci rende inaccessibili.
Ci tocca ancora quello che accade agli altri? Ci commuove ciò che le persone soffrono e devono sopportare? Ci vengono le lacrime agli occhi quando vediamo o ascoltiamo certe notizie? Lacrime per la sofferenza degli esseri umani, ma anche lacrime di commozione per una salvezza riuscita, per svolte politiche, per passi verso la pace? Queste notizie, queste immagini, ci rendono più sensibili, più capaci di ascoltare, di vedere, di essere solidali? Oppure le notizie sulla sofferenza altrui scivolano via, perché siamo troppo presi da noi stessi? Sappiamo compatire, ma anche gioire con chi gioisce? Ci sentiamo coinvolti quando accade un’ingiustizia – qui o altrove? Guardiamo o distogliamo lo sguardo? Sappiamo guardare negli occhi chi è nel bisogno? Sappiamo consolare? Sappiamo stare accanto, resistere con chi porta una croce? Tendiamo a giudizi affrettati, superficiali, comodi? Ci lasciamo toccare o restiamo indifferenti di fronte al destino degli altri?
Papa Francesco parla spesso della “globalizzazione dell’indifferenza”. Se lasciamo che questa globalizzazione si insinui nel nostro pensare, nel nostro parlare e infine nel nostro agire, essa ci deruberà della nostra umanità.
Gesù non è stato mai indifferente! Si è lasciato toccare dalle domande, dai bisogni, dalle ferite delle persone. Si è lasciato toccare dalla miseria e dal male del peccato umano. Il culmine della sua vita per gli altri è la croce. Nemmeno lui poteva andare oltre per dimostrarci che non siamo indifferenti ai suoi occhi. Comprendiamo ora perché proprio la croce è diventata il suo segno e perché nessun altro simbolo cristiano può sostituirla?
Guardiamo a Gesù crocifisso! Lasciamoci toccare personalmente dal suo sguardo di misericordia. E chiediamogli, in questo giorno santo, il dono delle lacrime.